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Maso di Faé

La secolare lotta per le risorse agrosilvopastorali

Faé è oggi soprattutto il tratto di strada che collega il ponte di Mostizzolo alla borgata di Cles, affacciato sulla forra del Noce e sul lago di Santa Giustina: un nome antico, arrivato dalla presenza di un fitto bosco di faggi, che tra medioevo ed età moderna era spesso nido di briganti che assalivano, derubavano e talvolta assassinavano i viandanti.

Ma Faé era in generale un monte fruttifero, conteso dalle comunità confinanti, ricco di risorse agricole, boschive e pascolive, che in Val di Sole avevano un fondamentale punto di attraversamento fluviale sul Noce a ponte Stori, a valle di Bordiana.
I redditi del monte sono citati fin dal XII-XIII secolo: una importante sentenza sul loro utilizzo venne data nel 1496 dal vicario vescovile Pangrazio di Castel Belasi, avendo davanti da un lato i rappresentanti di Bozzana e Bordiana, dall’altro quelli di Cles, Maiano, Dres e Caltron.

La disputa riguardava i confini “monthadegi montis Fahedi”, ovvero del montatico dei pascoli del Faé, il diritto di portarci il bestiame, partendo dalle campagne di Cavizzana, dal fiume Noce fino alle cime delle montagne soprastanti e fino alla testa del vecchio ponte di Mostizzolo; e poi per i diritti sul maso del Faé, per la cui conduzione Bozzana e Bordiana pagavano al vescovo annualmente 24 stari di avena o spelta.
La sentenza tuttavia non spense le liti, se non per un breve tempo: esse infatti rimangono accese fino alla fine del Settecento, giustificate dall’importanza di queste risorse economiche nella vita delle comunità dell’“Antico Regime”.

 
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